Con tutta l'esaltazione nei mercati valutari europei e statunitensi osservata negli ultimi due anni, dalla storica parità EUR-USD raggiunta alla fine del 2022 ai sali e scendi dei rendimenti dei titoli del Tesoro, è comprensibile che l'attenzione di molti occidentali non sia rivolta all'Asia. Tuttavia, nel frattempo in Estremo Oriente è successo qualcosa di davvero storico.
All'insaputa di molti, dal 2021 lo yen giapponese ha perso valore, silenziosamente ma precipitosamente, contro il dollaro statunitense (e altre valute maggiori). Lo yen, infatti, ha ormai perso quasi un terzo del suo valore; USD/JPY attualmente si attesta a 151,17 (27/03): non si trovava in questa posizione da oltre 30 anni. Neanche l'importante decisione di alzare i tassi di interesse per la prima volta dal 2007, presa la scorsa settimana dalla Banca del Giappone, ha contribuito a fermare la disfatta. Lo yen in realtà si è ulteriormente indebolito in seguito alla notizia.
Il calo si è tuttavia stabilizzato dopo che il ministro delle Finanze Shunichi Suzuki ha dichiarato di non escludere alcuna misura per far fronte alle difficoltà dello yen, ma permangono i timori che qualsiasi intervento da parte della banca centrale giapponese sia inevitabilmente insufficiente, data la differenza di quasi 350 punti base fra i rendimenti dei titoli statunitensi e giapponesi a 10 anni. Ma allora, cosa c'è dietro questa epica tendenza al ribasso della valuta nazionale di una delle principali economie del mondo, e quali saranno gli sviluppi a lungo termine nei mercati?
Tempi lunghi
È risaputo che oramai da decenni il Giappone ha tassi di interesse fra i più bassi al mondo. In effetti, fino al recente incremento, il tasso della Banca del Giappone era rimasto per qualche tempo in territorio negativo. Se a questo si aggiunge la politica aggressiva di "quantitative easing" che si è intensificata durante la pandemia, questa svalutazione dello yen era sostanzialmente ineluttabile. E nonostante la crescita dei salari suggerisca che l'inflazione possa essere gestita, i bassi rendimenti nel mercato obbligazionario locale hanno costretto i principali investitori giapponesi a trattenere circa 3.000 miliardi di dollari in obbligazioni estere e operazioni in yen, denaro che altrimenti avrebbe potuto tornare in patria.
Sfortunatamente, è difficile immaginare come la Banca del Giappone possa competere con rendimenti percentuali superiori al 4% senza mandare in bancarotta il paese. Altra potenziale pressione sullo yen in un contesto di tassi in aumento viene dalla potenziale riduzione dei "carry trade", processo attraverso il quale i trader capaci di muovere grandi volumi acquistano yen con l'intenzione d'investire i proventi dell’operazione in valute ad alto rendimento. Per ora, lo yen è ancora la più attraente tra le major a questo scopo. Tuttavia, se i tassi continueranno ad aumentare, potrebbero ridursi ulteriormente gli afflussi di yen da qui in avanti. Molto dipenderà da un eventuale ulteriore avanzamento verso quota 155 o arretramento al di sotto del supporto chiave dei 150, dove potremmo osservare un forte afflusso di posizioni long sullo yen.
Guardiamo gli aspetti positivi
Come abbiamo già accennato, il mercato del lavoro giapponese è forte e può in parte sostenere l'inflazione generata da tassi estremamente bassi, ma non per un tempo indefinito. Sembra che l'aumento sopra i 150 nella coppia yen/dollaro statunitense sia stato interpretato dalla Banca del Giappone come spartiacque: il ministro delle Finanze Suzuki, infatti, ha ora promesso "misure risolutive" per rafforzare la moneta. Infatti, è a 151,94 che, nel mese di ottobre 2022, la banca centrale ha avviato energicamente l'acquisto di yen, e non è azzardato presumere che la cosa possa ripetersi presto. È difficile immaginare che questa politica non si traduca in un rafforzamento dello yen, in particolare se si andranno ad aggiungere ulteriori modesti incrementi dei tassi nel corso del 2024.
Come per ogni cosa, il segreto sta nel trovare il perfetto equilibrio tra mantenere sotto controllo la moneta nazionale e ridurre al minimo gli effetti negativi sul mercato del credito interno, dove il periodo prolungato di tassi ultra-bassi ha provocato un aumento esponenziale dei prestiti che, se gli aumenti saranno troppo netti, potrebbero lasciare ai debitori una leva eccessiva. Un altro importante equilibrio che va tenuto presente è quello fra importazioni ed esportazioni. Lo yen debole ha reso i prodotti importati più costosi per il mercato locale, ma il Giappone è un enorme esportatore di beni di alto valore, come automobili ed elettronica, diventati molto più attraenti in questo contesto. Per questo motivo, la Banca del Giappone spererà di tenere USD/JPY all'interno dell'intervallo 140–150.
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