Per la sorpresa di molti analisti e in totale contraddizione con la tradizionale saggezza e i dati storici, i titoli azionari statunitensi sono in una traiettoria inaspettatamente positiva dal gennaio 2023. Nonostante l'inflazione ai massimi di recente memoria, una situazione geopolitica che sembra deteriorarsi di giorno in giorno e il calo di interesse nei confronti delle azioni da parte di investitori al dettaglio a corto di contanti, i tre principali indici statunitensi S&P 500, Nasdaq 100 e Dow Jones Industrial Average hanno registrato nuovi massimi rispettivamente a quota 5.147,23 dollari, 18.079,65 dollari e 38.843,24 dollari.
Ma questa settimana ci siamo imbattuti nel primo ostacolo, quando Nvidia, società specializzata in IA, ha perso più del 10% nell'arco di una singola giornata di scambi. Anche se abbiamo visto recuperare parte del terreno perso in tempi abbastanza brevi, e persino l'impatto sul Nasdaq, ricco di aziende tecnologiche, è stato contenuto sotto il 2,5%, si tratta comunque di un segnale di estrema fragilità per questa corsa al rialzo.
Come sempre, i fattori che possono influenzare i movimenti del mercato fino al 2025 vanno ben oltre ogni singolo ticker. Dai dati sui posti di lavoro all'inflazione, fino al cosiddetto "risk reset", i fondamentali che influiscono e potenziali argomenti a favore o contro la continuazione di questo rally in borsa sono numerosi e variegati. Ma allora, cosa sono e come possono influenzare le quotazioni delle azioni nel medio-lungo periodo?
Ce lo indicheranno gli indicatori
Come già accennato, il tonfo dei mercati azionari di questa settimana ha coinciso con il rilascio dei dati di febbraio sul mercato del lavoro, osservati attentamente alla ricerca di indizi sulla prossima decisione sui tassi da parte della Federal Reserve. Se è vero che abbiamo visto una performance superiore alle aspettative in termini di nuovi posti di lavoro creati, con 275.000 posti aggiunti a febbraio (rispetto ai 198.000 previsioni), alcuni segnali indicano che il mercato del lavoro inaspettatamente "caldo" stia cominciando a raffreddarsi. La disoccupazione è aumentata di 0,2 punti percentuali salendo al 3,9%, la crescita media mese su mese dei salari orari ha rallentato e il dato di gennaio sui 353.000 nuovi posti di lavoro aggiunti è stato rivisto a 229.000. Dopo una lieve delusione, gli occhi degli analisti si sono spostati bruscamente alla pubblicazione dei dati sull'IPC del 13 marzo. Gli ultimi dati sull'inflazione indicano per lo scorso mese un incremento del 3,2% su base annua: in aumento rispetto alla relazione del Bureau of Labour Statistics di gennaio, che indicava il 3,1%. Nel frattempo, l'inflazione di base, che esclude i prezzi più volatili dei prodotti alimentari e dell'energia, ha registrato un aumento annuo del 3,8%.
È una prova chiarissima che l'approccio attendista della Fed, che ha visto i tassi di interesse stabili per nove mesi consecutivi, non è sufficiente a riportare l'inflazione all'obiettivo del 2% fissato dalla banca centrale. Se questa tendenza continuerà ad aprile, è difficile immaginare uno scenario in cui la Fed non sia costretta a prendere in considerazione ulteriori aumenti dei tassi. E con più tagli dei tassi nel 2024 già dati per scontati e prezzati negli indici statunitensi, abbiamo potuto osservare una correzione significativa.
Rischio sì, rischio no
Vi è tuttavia un altro fattore fondamentale che potrebbe contraddire quanto sopra: il mutamento psicologico che è stato osservato nel comportamento degli investitori durante i recenti rally dei mercati azionari su S&P 500 e Nasdaq 100.
Gestori di portafogli come Evan Brown di UBS Asset Management hanno soprannominato il cambiamento di atteggiamento da parte della massa "risk reset" e ne hanno attribuito la causa alla mancata materializzazione di una recessione da tempo anticipata. È vero che l'aumento dell'inflazione e la crescita lenta dei salari, uniti all'incertezza geopolitica e ai problemi alla catena di approvvigionamento, avrebbero dovuto provocare una recessione, ma abbiamo invece visto il contrario, in quanto nel 2023 e oltre ancora i mercati azionari si sono tranquillamente rafforzati.
In realtà, i dati di JP Morgan dimostrano che le società del gruppo S&P 500 hanno complessivamente superato le proiezioni di EPS del 7% durante la stagione delle trimestrali del 4° trimestre, con settori come alimenti di base e i servizi di comunicazione a smentire i cinici secondo i quali un aumento dei costi di finanziamento inciderebbe sui profitti. Il leggero aumento dell'inflazione di questo mese ha solo posticipato la data prevista per la prima riduzione del tasso Fed e ha ridotto il numero totale d'interventi previsto per il 2024 da sei a quattro. Il fatto che molti investitori tardino a unirsi alla festa per paura di una recessione contribuirà solo a estendere questo mercato rialzista attuale al di là dei suoi abituali limiti. Infatti, la Bank of America ha persino aumentato la sua previsione di fine anno su S&P 500 a 5.400, dimostrando la fiducia in un rally che potrebbe protrarsi almeno fino al 2025.
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