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Petrolio e gas volatili in un clima di crescente instabilità geopolitica

Fri, 10/13/2023 - 12:44

Nonostante la rivoluzione verde, petrolio e gas sono ancora materie prime di prima necessità in tutto il mondo. Quando i prezzi oscillano, a risentirne sono sia la gente comune che gli investitori. Dopo un 2022 frenetico in scia alle tensioni crescenti in Europa orientale, che hanno visto il petrolio Brent salire ai massimi in un decennio (sopra i 125 dollari al barile), i prezzi alla fine si sono normalizzati al di sotto degli 80 dollari al barile. Allo stesso tempo, i prezzi spot del gas naturale sul mercato aperto hanno registrato un'impennata di oltre il 1000%; in Europa, infatti, i prezzi del gas olandese sono aumentati da una media di meno di 20 euro per MWh a un massimo di 338,54 euro nell'agosto 2022, prima di tornare a scendere gradualmente a circa 30 euro per MWh la scorsa estate. 

Ora, tuttavia, il mercato sembra essere entrato in un nuovo trend rialzista in scia ai tagli alla produzione russa e saudita, a cui si aggiunge la crescente instabilità politica in Medio Oriente. Sebbene da allora i prezzi del greggio abbiano subito una leggera correzione al ribasso, osserviamo una chiara dinamica in salita. Nel frattempo, il gas naturale TTF olandese dell'UE è aumentato di oltre il 50%, salendo a 45 euro per MWh al momento della stesura di questo articolo (10 ottobre 2023), guadagnando oltre il 15% solo nell'ultimo mese. Con l'avvicinarsi della stagione fredda, i consumatori e gli operatori del mercato si stanno preparando a ulteriori aumenti dei prezzi sia del petrolio che del gas naturale provocati da fattori riconducibili alla domanda. Se, tuttavia, dovessimo assistere a un'escalation nel conflitto in corso, i prezzi potrebbero esserne ulteriormente influenzati. 

OPEC+ di nuovo sotto i riflettori

Sulla scia degli aumenti dei prezzi dello scorso anno, tutti gli occhi sono ora puntati sull'OPEC e sulle nazioni associate: il cartello ha infatti un fortissimo controllo sulle dinamiche dei prezzi del petrolio. È stato ampiamente evidenziato che due delle maggiori nazioni produttrici, la Russia e il Regno dell'Arabia Saudita, si sono impegnate a ridurre volontariamente la produzione rispettivamente di 300.000 e 1 milione di barili al giorno. Questi impegni sono stati ora estesi al 2024 e, con la domanda che dovrebbe aumentare a causa di vari fattori, dall'aumento della produzione industriale in Cina alle pressioni stagionali, questa riduzione artificiale dell'offerta non farà che esacerbare ogni eventuale movimento organico dei prezzi verso l'alto.

Nel suo ultimo report previsionale, l'OPEC ha rivisto al rialzo le proiezioni sulla domanda a lungo termine a 116 milioni di barili al giorno entro il 2045, che richiederebbero investimenti per 14.000 miliardi di dollari. Appare chiaro che il cartello vede un futuro significativo per la risorsa energetica e farà tutto il possibile per mantenere prezzi elevati al fine di vedere un ritorno su questo considerevole esborso di capitale. A breve termine, è difficile prevedere dove si dirigeranno i prezzi. Detto questo, l'OPEC sembra intenzionata a fare tutto il possibile per mantenere i prezzi del greggio nell'intervallo 80$-100$, il che renderebbe tutte le varietà premium, come Brent, WTI e Light Sweet (ai prezzi attuali di rispettivamente 86,20$, 84,28$ e 84,25$) un buon affare per gli investitori a lungo termine.

E Washington?

L'American Petroleum Institute ha osservato che questa settimana le scorte di petrolio greggio degli Stati Uniti sono aumentate di circa 12,9 milioni di barili, molto più dell'incremento di 500.000 barili previsto da un sondaggio degli analisti Reuters. Ciò ha contribuito ad attenuare in parte le impennate di prezzo causate dai problemi in Israele e dai tagli alla produzione in altre parti del mondo. Tuttavia, oltre a essere di per sé un importante produttore di petrolio e gas, gli Stati Uniti, in quanto principale superpotenza a livello mondiale, hanno una grande influenza sul mercato dell'energia al di là dei semplici flussi di domanda e offerta. 

Guardando al lungo termine, la sua politica ambientale rischia di avere un impatto globale incommensurabile sulla domanda di combustibili fossili. Mentre si avvicinano le elezioni presidenziali statunitensi del 2024, a livello politico ci troviamo in prossimità di un bivio. Il presidente in carica Joe Biden è molto impegnato nell'agenda delle "zero emissioni nette", mentre il suo principale rivale, Donald Trump, è molto più liberista in merito alle questioni ambientali.

Trump, come tristemente noto, ha escluso gli Stati Uniti dall'accordo dell'ONU sul clima di Parigi e ora ha promesso di rimuovere le misure contro l'inquinamento atmosferico e idrico, accelerando al contempo le indagini ambientali su decine di importanti progetti energetici e infrastrutturali, come trivellazioni e oleodotti. I primi atti in carica di Biden nel 2021, d'altra parte, sono stati la ricongiunzione all'accordo sul clima di Parigi e la revoca dei permessi per il gasdotto Keystone. Da allora, ha investito miliardi in infrastrutture ecologiche ed energie rinnovabili e ha fissato il raggiungimento dell'obiettivo zero emissioni nette negli Stati Uniti entro il 2050. Appare chiaro, quindi, che le fortune del petrolio dal 2024 al 2028 dipenderanno in gran parte dall'esito delle elezioni presidenziali e gli investitori faranno bene a studiare attentamente i sondaggi prima di eventuali importanti cambiamenti di posizione.

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