Molti prevedono che il prossimo secolo sarà dominato dalla Cina e dall'inizio del millennio la narrazione di una stella nascente in Oriente si è rafforzata costantemente. L'ipotesi non è priva di un fondo di verità. Dal 1978, il PIL della Cina ha registrato una crescita media annua del 9%, emancipando 800 milioni di persone dalla povertà. Tuttavia, la pandemia e, in particolare, la politica zero-COVID del partito comunista cinese hanno prevedibilmente inceppato il processo. Nel 2020, la crescita del PIL cinese è scesa ad appena il 2%; durante il lockdown globale, infatti, il commercio internazionale si è ridotto ai minimi termini. Poi, con la riapertura delle economie occidentali, è salito appena sopra l'8%, prima di crollare di nuovo al 2% in risposta ai draconiani lockdown imposti in tutta la città dal partito per tutto il 2022.
Ora, dopo un periodo di intensa inflazione globale, qualcosa di strano e preoccupante sta accadendo in Cina: i prezzi sono in realtà in calo. Proprio così. Dopo i dati sull'indice dei prezzi al consumo di novembre, che ha mostrato un calo dello 0,5% su base annua, la Cina sta ufficialmente attraversando una deflazione. Potrebbe sembrare una buona cosa in apparenza, ma la deflazione incontrollata è in realtà il peggior tipo di pressione sui prezzi, poiché spinge le persone a rinviare il consumo in previsione di prezzi più bassi. Quindi, quali sono le probabili implicazioni di questo scenario sui prezzi degli strumenti sia in Cina che nel resto del mondo?
Tempo al tempo…
I problemi economici della Cina non sono emersi dal nulla, né erano del tutto imprevedibili. Oltre agli effetti della politica zero-COVID, un ruolo è stato svolto anche dal mercato immobiliare ribassista di lunga data, dalla disoccupazione giovanile e dal giro di vite del governo sul settore tecnologico. Questi fattori sono stati poi esacerbati dall'accelerazione dei deflussi di capitali esteri a seguito della pandemia e dalla tensione nelle relazioni con gli Stati Uniti su Taiwan. Per i titoli tecnologici cinesi, l'effetto è stato quasi catastrofico. Tencent e Baidu, ad esempio, hanno entrambi perso quasi il 50% dalla fine del 2021. Nello stesso periodo, Alibaba, marchio noto in tutto il mondo, è sceso di circa il 65%. E con i prezzi che ora scendono nei settori chiave, è comprensibile che i consumatori evitino gli acquisti ove possibile, danneggiando ulteriormente queste app incentrate sui consumatori.
Anche i prezzi delle risorse internazionali di carburanti, come il petrolio e il gas, sono diminuiti significativamente rispetto all'anno precedente, eppure l'industria cinese non è in grado di approfittarne al meglio a causa del calo della domanda interna e internazionale. Cresce la pressione su Pechino affinché intraprenda un'azione risolutiva. Pertanto, tutti gli occhi saranno fissi sui prossimi incontri del Politburo e della Central Economic Work Conference (CEWC) di questo mese, in attesa della conferma dell'impegno da parte del governatore della PBC Pan Gongsheng per una politica monetaria più "accomodante" volta a stimolare la domanda interna e scongiurare la deflazione. Se il sostegno atteso da parte del partito comunista cinese arriverà presto, nel 2024 potremmo ragionevolmente aspettarci una ripresa della crescita di questi titoli cinesi, attualmente ai minimi pluriennali.
Vincitori e vinti
Non è un segreto che l'Occidente abbia sofferto economicamente negli ultimi tempi, ma qui lo scenario è quasi speculare rispetto alla Cina. L'inflazione è stata fuori controllo e rimane ancora significativamente al di sopra dell'obiettivo sia negli Stati Uniti che nell'UE, mentre la carenza di combustibili associata all'instabilità geopolitica nell'Europa orientale ha gravato sia sull'industria che sul comune consumatore. Di conseguenza, l'indice EURO Stoxx 50 è rimasto abbastanza stagnante, guadagnando a malapena il 5% negli ultimi due anni. Fino a poche settimane fa in realtà era in calo, riuscendo a guadagnare un buon 10% in poco più di un mese. Questo movimento si è riflesso quasi uno a uno nell'S&P 500.
Si ritiene che questo improvviso rialzo sia attribuibile al fatto che la Cina stia effettivamente "esportando" in Occidente la sua pressione al ribasso sui prezzi. In effetti, la Cina rappresenta il 20% di tutte le importazioni europee in una relazione commerciale che vale 2,5 miliardi di dollari al giorno. Mostrando sentimenti poi riecheggiati dall'analista di Société Générale Albert Edwards, Thierry Wizman di Macquarie ha scritto: "Più a lungo la Cina dimostra di non sapersi riprendere, più è probabile che le aspettative di inflazione diminuiranno in Occidente, poiché i timori che la Cina possa esportare la sua deflazione nel resto del mondo attraverso il commercio internazionale guadagneranno terreno".
Se questa tendenza continua, potremmo osservare una normalizzazione organica dell'inflazione negli Stati Uniti e nell'UE, che porterebbe le banche centrali a normalizzare finalmente la politica monetaria e forse anche ad adottare una posizione più accomodante nel 2024. Questa sarebbe, ovviamente, una grande notizia per i mercati azionari di tutto l'Occidente.
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