Mentre il mondo è alle prese con una vera e propria guerra commerciale, l'incertezza ha raggiunto livelli record. Alcuni dei titoli più sicuri, come i "Magnifici sette" della tecnologia, hanno perso in media quasi il 20% dall'inizio dell'anno. Anche il petrolio greggio è in una situazione simile, con il Brent in calo del 15% da inizio anno. Tuttavia, uno strumento ha tratto vantaggio da questa situazione, accumulando silenziosamente valore mentre i mercati di tutto il mondo erano in preda al panico. Ultimamente l'oro se la sta passando piuttosto bene: ha guadagnato quasi il 30% da gennaio e non mostra ancora segni di cedimento. Dopo aver già superato il livello di 3.300 dollari il 16 aprile, il metallo giallo ha chiuso la sessione a 3.371 dollari, oltre il 50% in più rispetto al suo valore di aprile 2024.
Nel frattempo, Donald Trump rimane determinato a imporre dazi del 145% sulle merci cinesi, mentre la Cina si rifiuta categoricamente di cedere alle pressioni del presidente degli Stati Uniti. E ora che Xi Jinping ha ordinato alle compagnie aeree cinesi di non accettare nuove consegne di aerei Boeing, il rischio per il commercio mondiale è più grande che mai. Anche la minaccia associata all'inflazione, unita ai timori di una recessione globale, rappresenta una cattiva notizia per le imprese; tuttavia, in quanto strumento di copertura dal rischio per eccellenza, l'oro potrebbe trarre vantaggio da un periodo negativo prolungato. In questo articolo analizzeremo alcuni dei principali fattori che potrebbero influenzare il prezzo dell'oro per il resto del 2025 e oltre.
Difficoltà economica
Come in ogni periodo di intensa incertezza e sconvolgimento dell'ordine naturale globale, molti analisti hanno sottolineato il rischio di recessione rappresentato dalla riduzione del commercio mondiale provocata dai dazi di Trump. Ad esempio, il direttore generale di Goldman Sachs, David Solomon, ha avvertito che le possibilità di una recessione negli Stati Uniti sono aumentate a causa della guerra commerciale e che qualsiasi escalation delle tensioni pone "rischi materiali" per la crescita economica degli Stati Uniti e globale.
Sebbene le entrate del Tesoro statunitense possano essere aumentate nel breve termine a seguito dei dazi a tre cifre sulla Cina, stiamo già iniziando a vederne le conseguenze a lungo termine, poiché i cinesi reagiscono rifiutandosi di accettare le consegne precedentemente concordate di 179 aerei Boeing e cominciano a prendere di mira attivamente il settore dei servizi finanziari statunitense. L'amministrazione statunitense si sta inoltre dando la zappa sui piedi a seguito dell'imposizione di restrizioni a Nvidia, il cui chip H20 è stato bandito dall'esportazione in Cina tramite nuovi requisiti di licenza. Il valore del titolo del produttore di chip è ora in calo di quasi il 15% su base mensile.
Nel frattempo, il presidente della Federal Reserve statunitense, Jerome Powell, ha affermato che i dazi di Trump hanno creato "uno scenario difficile" per la banca centrale e potrebbero causare "quantomeno un aumento temporaneo dell'inflazione", aggiungendo che "gli effetti inflazionistici potrebbero anche essere più persistenti". Si tratta di un effetto naturale dei dazi, che gonfiano artificialmente il prezzo delle merci importate, ma i suoi effetti potrebbero avere una portata più ampia di quanto si pensasse inizialmente. Ora la Fed potrebbe dover riconsiderare i tagli ai tassi promessi per tenere sotto controllo l'inflazione. Alla luce della debolezza del dollaro, non si sa se questo sviluppo possa essere altamente positivo per l'oro, ma sicuramente si tradurrà in una maggiore sofferenza per gli azionisti e i comuni consumatori.
Non ci si può tirare indietro
Ciò che era iniziato come l'ultimo, roboante stratagemma volto a portare i partner commerciali degli Stati Uniti al tavolo delle trattative si è ormai trasformato in una vera e propria guerra commerciale. In netto contrasto con i tentativi di Trump precedenti alla pandemia di imporre la propria volontà alla Cina, questa volta Xi ha deciso di resistere e combattere. A differenza di altri Paesi, la Cina ha rifiutato di cedere e di avviare trattative alle condizioni degli Stati Uniti. In seguito ai dazi di ritorsione del 125% imposti la scorsa settimana, i cinesi hanno dichiarato che qualsiasi ulteriore aumento da parte degli Stati Uniti sarebbe stato considerato "uno scherzo" e sarebbe stato semplicemente "ignorato". La potenza asiatica ha rivolto la propria attenzione verso misure non tariffarie, tra cui controlli sulle esportazioni di terre rare e indagini antitrust su aziende americane, come il gigante farmaceutico DuPont e il colosso dell'informatica Google. Pechino ha anche incrementato il numero di aziende statunitensi incluse nella sua cosiddetta lista delle "società inaffidabili", che limita o vieta alle aziende di commerciare o investire in Cina.
Nonostante la retorica incendiaria secondo cui sarà la Cina a dover fare la prima mossa di negoziazione, è stato Trump il primo a fare un passo indietro in seguito alle pressioni di Wall Street. Gli Stati Uniti hanno introdotto esenzioni ai dazi per computer, smartphone ed elettronica di consumo cinesi, ovvero alcune delle categorie di prodotti maggiormente esportate dalla Cina. Nonostante questo sviluppo positivo, c'è sempre la possibilità che The Donald possa esacerbare ulteriormente la tensione, ed è difficile dire quando si troverà una soluzione alla guerra commerciale. Resta da vedere se questa situazione comporterà condizioni più positive per gli Stati Uniti. Una cosa è certa: finché i dazi saranno in vigore, l'oro continuerà a trarne vantaggio e le previsioni che lo vedono superare i 4.000 dollari potrebbero non essere irrealistiche in assenza di accordi per un periodo esteso.
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